Il linguaggio di Bion
Nell’ambito della psicologia infantile Bion è senza dubbio uno degli autori più brillanti. In merito all’originale e innovativo contributo di Bion, è necessaria un’introduzione per chiarire brevemente l’uso che l’autore fa del linguaggio, costruendo un vero e proprio nuovo sistema di comunicazione. Come evidenzia Neri, nonostante il contributo di Klein nell’intera opera bioniana sia indiscusso, è chiara, in Bion, la rivoluzionaria scelta di riformulare i concetti dell’autrice attraverso linguaggio e simbologie decisamente distanti dall’evocativo mondo interno, popolato da personaggi introiettati, che entrano in relazione attraverso l’uso della fantasia, regista primaria nell’intera opera kleiniana. Potrebbe essere pertinente accostare l’approccio analitico dell’autore a ciò che fa Freud in opere quali L’interpretazione dei sogni (1899) e Pulsioni e loro destini (1915), testi nei quali la fisiologia della percezione risulta essere l’appiglio teorico più frequentemente utilizzato dall’autore. Ed è così, infatti, che nel saggio Apprendere dall’esperienza (1984), Bion usa con estrema naturalezza i concetti di funzione, fattore, impressione sensoriale, barriera di contatto, filtro di stimoli e l’analogia con la visione binoculare. Ciò che risulta evidente, nella scelta di linguaggio dell’autore – preferita al fine di esporre con maggiore pertinenza i suoi modelli – è lo «sganciamento della psicoanalisi» da un «livello descrittivo»1. La necessità, percepita da Bion, di dedicarsi alla teoria e alla pratica psicoanalitica seguendo la linea di un maggiore rigore scientifico, lo conduce sostanzialmente a un’intera riformulazione dei contenuti delle teorie kleiniane, abbandonando tutte le figure che «descrivono – tramite una serie di “racconti”– una teoria della relazione tra madre e bambino, dell’evoluzione del bambino e della sua capacità di creare simboli»2. A questo proposito, il principale merito che va riconosciuto all’autore è appunto la maggiore estendibilità dei suoi modelli a numerose situazioni cliniche, evitando il ricorso, sia nella pratica terapeutica che nell’uso del caso a fini teorico-espositivi, a ciò che Neri definisce «racconti».
La teoria della mente di Bion: punto di svolta per la psicologia infantile
Il concetto di identificazione proiettiva, tanto nella teoria contenitore-contenuto, quanto nell’intera opera dell’autore, va inteso come lo sfondo della teoria della mente proposta da Bion. Utilizzando sempre il riferimento esplicativo fornito da Neri, è possibile dire che il rapporto tra identificazione proiettiva e l’intero lavoro teorico bioniano trova un’utile analogia nel rapporto intercorrente tra la geografia e la storia, nell’opera di Braudel: come lo storico usa la geografia da sfondo per fornire spiegazioni della storia, così l’identificazione proiettiva funziona nei modelli proposti da Bion, cioè come l’elemento sempre presente a cui fare riferimento, mai abbandonato. Si tratta infatti di una «modalità di funzionamento della mente costantemente attiva, che costituisce tanto il primo atto mentale del bambino, quanto l’indispensabile supporto delle più raffinate capacità adulte di pensiero e di relazione»3. Il meccanismo della funzione alfa è fondato proprio sull’identificazione proiettiva. Credo che sia utile pensare a tale funzione sfruttando sia il concetto di processo sia quello di legame: essa è infatti descrivibile come il meccanismo che consente al neonato di gestire la propria angoscia e i propri stati spiacevoli proiettandoli sulla madre, permettendo quindi ad essa di entrare in connessione con il suo stato mentale. L’intervento di contenimento messo in atto dalla madre riesce, nei casi in cui va a buon fine il processo, a restituire al neonato i contenuti da lui ricevuti, in modo attenuato, gestibile. Ciò che arriva a verificarsi, se per ora può sembrare che tale modello affronti esclusivamente la sfera affettivo-emotiva, è la graduale capacità del neonato, costruita appunto nella relazione con la madre – attraverso la funzione alfa, o rêverie materna – di iniziare a possedere processi cognitivo-percettivi, organizzandoli nella comunicazione che via via arriva a spostarsi sempre più su un piano simbolico. Gli oggetti su cui agisce la funzione alfa consistono in elementi beta, che potrebbero essere descritti come atomi corrispondenti alle impressioni sensoriali, «l’impressione sensoriale intesa come una parte della personalità che la percepisce e l’impressione sensoriale intesa come la cosa in sé che le corrisponde»4. Bion più volte sottolinea come la funzione alfa possa essere descritta come una «struttura», «una barriera di contatto». Ciò che emerge con chiarezza riguardo alla funzione di tale «settore dell’apparato mentale» è il fatto che agisca su ciò che viene rilevato dagli organi di senso: se il bambino sta provando l’esperienza di seno buono o di seno cattivo, i contenuti percettivi in questo caso sono legati al tatto o al senso di malessere dovuto alla fame, e a queste sensazioni è correlata un’esperienza emotiva.
Il rischio dell’assenza della funzione alfa
Ciò che Bion rileva, inoltre, è la possibilità dell’assenza della funzione alfa, quando l’intolleranza alla frustrazione raggiunge un livello a tal punto elevato da provocare «un’evacuazione immediata degli elementi beta»5. In merito alla relazione intercorrente fra la madre e il bambino, sono tuttavia le stesse parole dell’autore a contribuire a restituire peso a una relazione che ha vivi i contenuti di gratitudine e amore:
La componente psichica- l’amore, la sicurezza, l’angoscia- richiede, con quella somatica, un processo analogo alla digestione. L’uso del concetto di funzione alfa non ci consente di scoprire in cosa questo processo consista; ma possiamo dargli un valore servendoci delle indagini psicoanalitiche e chiedendoci, per esempio: con che cosa ama la madre? Io penso che, oltre che con i canali fisici di comunicazione, il suo amore venga espresso per mezzo della rêverie6.
Tutto origina dalla relazione, soprattutto le funzioni del pensiero
Dopo aver parlato della funzione alfa risulta più chiaro quanto la relazione, e le attività ad essa connesse, siano il nucleo del pensiero dell’autore. Un elemento teorico che condivide con il concetto esposto in precedenza la qualità di funzione, ed è quindi maggiormente connesso alla fisiologia, piuttosto che all’anatomia, è il costrutto di «attacco al legame». Polacco Williams, quando tratta la doppia deprivazione nel saggio Paesaggi interni e corpi estranei , scrive in relazione a un caso clinico da lei affrontato:
Per Martin ogni sentimento di vicinanza, calore, tenerezza era talmente doloroso che doveva sbarazzarsene in fretta, erotizzandolo o trasformandolo in eccitazione, oppure “giustiziandolo”. “Il mio dolore non è affar mio” disse una volta mentre tagliava in due con un coltello un pezzo di corda che teneva tra le mani7.
Quanto è stato esposto fino ad ora riguardo alla funzione alfa, intesa come funzione relazionale, può risultare utile per estendere tali dati al concetto teorico di attacco al legame, descrivibile come un processo di rottura della stessa funzione relazionale, indipendentemente dai contenuti oggetto della relazione osservata. La funzione di contrasto e distruzione, messa in atto da un oggetto interno, può infatti avere esiti del tutto differenti in base al tipo di legame attaccato8: quando le forme più evolute di comunicazione, creatività, espressione vengono aggredite o demolite si tratta di esempi della forma più sviluppata di questo processo. Il fenomeno risulta particolarmente visibile nel corso di sedute di analisi.
Dalla gratitudine all’ostilità: identificazione proiettiva e relazione
Se il paziente ha vissuto durante l’infanzia situazioni nelle quali il suo terrore non era accolto dalla madre, o perché impediva l’ingresso dei contenuti proiettivi o perchè non riusciva a gestire l’ansia derivante dai contenuti a lei trasmessi dal bambino, è possibile che nel corso della terapia, il paziente adulto, che ha sperimentato queste condizioni quando era bambino, viva un senso di gratitudine derivante dall’opportunità di poter avere davanti qualcuno in grado di accoglierlo. Il passo da questo sentimento a un sentimento di ostilità è breve. L’origine di questo passaggio risulta essere nell’identificazione proiettiva, proprio perché il legame tra il paziente e il suo analista o fra neonato e seno, consiste in essa9. I risultati di tale processo sono individuabili in un uso ulteriore di questo meccanismo con i conseguenti effetti di deterioramento dello sviluppo. L’aggressività e l’invidia primarie, considerati come fattori che alimentano la messa in atto di attacchi al legame, hanno valore unicamente se considerate nella dinamicità della relazione: è infatti l’eventuale reazione di mancanza di recettività da parte della madre, ad attivare in modo più energico e distruttivo attacchi di questo tipo. Anche in queste conclusioni teoriche, esposte da Bion, è possibile rintracciare elementi individuabili nella posizione schizoparanoide descritta da Klein.
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1 C. Neri, A. Correale, P. Fadda (1987) (a cura di), Letture bioniane, Borla, Roma. Per un’introduzione generale al saggio e alle varie sottosezioni, cfr.
<http://www.claudioneri.it/pubblicazioni/70.pdf> (10 Novembre 2010).
2 Ibidem.
3 Ibidem.
4 W. R. Bion (1984), Apprendere dall’esperienza, Armando, Roma 2009, p. 55.
5 Ivi, p. 67.
6 Ibidem.
7 G. Polacco Williams, op. cit., p. 32.
8 W. R. Bion (1959), Attacchi al legame, in E. Bott Spillius (a cura di), Melanie Klein e il suo impatto sulla psicoanalisi di oggi, Astrolabio Ubaldini, Roma 1995, p. 115.
9 Ivi, p. 112.