Il disturbo ossessivo compulsivo secondo l’approccio sistemico-relazionale sarà il tema di questo articolo.
Userò come riferimenti teorici i fondamentali studi clinici di Valeria Ugazio, psicoterapeuta sistemico-relazionale e autrice di saggi sul tema delle polarità semantiche.
Questa teoria è stata formulata alla fine degli anni Novanta.
Le conversazioni familiari, le polarità semantiche e il posizionamento
Le conversazioni generano possibilità o le impediscono
Ogni famiglia e ciascun membro di essa, comunica, conversa, all’interno di insiemi di significato – detti polarità semantiche – prevalenti.
Quali storie possibili?
Questo fa in modo che vengano a crearsi, negli scambi interattivi, alcune storie piuttosto che altre.
La polarità: un magnete che genera significati
Il concetto di polarità può essere spiegato con un’analogia: un magnete, i cui estremi sono dotati di proprietà opposte.
Ciascun membro della famiglia non può, negli scambi comunicativi ai quali partecipa non prendere una posizione all’interno della polarità di significati che sta alimentando la conversazione.
Questo processo si chiama posizionamento.
Polarità possibili del disturbo ossessivo compulsivo
bene/male
sacrificio/egoismo
innocente/colpevole
retto/immorale
Il disturbo ossessivo compulsivo: tra bene e male
Agostino nelle Confessioni descrive il male come un’assenza di bene, riprendendo il concetto di non-essere da Plotino.
Nelle famiglie nelle quali si sviluppa un’organizzazione ossessivo-compulsiva si verifica una condizione opposta: il bene è “una privazione di male”.
Il buono i queste famiglie è chi vive nel sacrificio, nell’astinenza, nella rinuncia, nel distacco da dinamiche pulsionali.
Il cattivo è corrotto, egoista, aggressivo, preda di meccanismi di affermazione di sé talvolta drammatici per le loro conseguenze ai danni di altri.
Le istanze vitali – sessualità, affermazione di sé, investimenti su persone e cose – sono il luogo in cui si esplica il male, mentre sacrificio, rinuncia e ascesi vengono identificati con il bene (Ugazio, 2012).
Il disturbo ossessivo compulsivo arriva a manifestarsi quando l’affermazione di sé o il coinvolgimento erotico sono inconciliabili con una percezione di sé unitaria.
L’autoaffermazione è essenziale per il nostro senso di identità e per vivere ogni relazione.
Tuttavia nel soggetto con diagnosi di disturbo ossessivo compulsivo: “l’affermazione di sé implica collocarsi entro il polo negativo del costrutto «buono/cattivo»”(Ugazio, 2012).
Il dramma senza apparente soluzione in questi pazienti ha a che fare con la scissione della loro identità in due parti: una buona e una cattiva.
Anche nell’arco della stessa giornata, o addirittura al sorgere al livello di coscienza di un pensiero impuro (ma vitale), connesso al piacere (e per questo deplorevole), l’ossessivo compulsivo può vivere dei repentini viraggi esistenziali.
Esprimere la propria sessualità e aggressività, ricercare la propria affermazione personale, coinvolgersi in relazioni appaganti, significa quindi essere cattivi e indegni d’amore; mentre essere amabili, degni d’amore, richiede l’annullamento, il sacrificio di sé. Di qui l’oscillazione continua tra un’immagine di sé buona, ma sacrificale, in ultima istanza mortifera, e una vitale, ma intrinsecamente malvagia, che conduce al rifiuto, alla reiezione (Ugazio, 2012).
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Se desideri approfondire il punto di visto della psicoterapia sistemico-relazionale e in particolare quello di Valeria Ugazio che ha scritto il bellissimo saggio Storie permesse, storie proibite, Polarità semantiche e psicopatologie, questi 3 link potrebbero interessarti:
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