C’era una volta un piccolo rospo che passava le sue giornate a saltellare qui e là fra gli stretti viottoli del piccolo borgo in cui era nato. Per la precisione si trattava di un paese di poche anime, arroccato all’apice dell’ombroso incrocio tra due piccole e remote valli del centro del continente. Con un sorriso vi confesso che in realtà la lingua che parlava il rospo non la ricordo: poteva parlare il francese come il tedesco, forse addirittura il russo! Pochi sanno che i rospi – soprattutto i piccoli rospi – sono degli eccellenti viaggiatori: instancabili, curiosi, loquaci e di un’astuzia pari a quella di certe rare cicogne dell’Est. E c’è davvero da credere che questa fosse una gran fortuna per il rospo! Ogni tanto, tuttavia pensava: “E se fossi nato rondine? O lupo? O pesce degli abissi? Come sarebbe stata la mia vita?”. Forse sono solo i grandi della specie umana a non perdersi nelle fantasie di una vita da aquila, da leone o da piccolo insetto… forse! Dal tramonto alle primissime ore del mattino, non si può dire che negli ultimi anni vi sia stata una giornata priva di un’interessante scoperta o una pregevole avventura da vivere insieme agli amici, anche nella più uggiosa delle giornate uggiose. Il buio era una certa protezione perchè gli permetteva – anche se l’imprevisto era sempre in agguato – la sicurezza e la disinvoltura di spostarsi senza dare troppo nell’occhio. Un morbido, giovane e leggiadro rospo, abituato dalla più tenera età a cibarsi solo di fiori gialli, non poteva che essere un boccone morbido e dal gusto indimenticabile per i palati più raffinati fra i contadini della zona, ormai stufi di mangiare minestra. Due piccole chiazze azzurre sul dorso stavano proprio a indicare l’alimentazione privilegiata e singolare dell’animaletto: un’occhiata e un movimento rapido dell’uomo e sarebbe finito dritto sulla brace e poi deliziosamente consumato accanto a patate, erbette di altopiano e un riscaldante bicchiere di malmostoso, il ricercato infuso del luogo da consumare solo nelle occasioni di festa. Ma torniamo al dunque. Esplorare i nuovi posti – e ogni nuovo giorno ne offriva di sorprendenti – era la missione di rospo, che altro avrebbe potuto fare d’altronde? Il tempo certo non gli mancava, così tra un balzo e l’altro, andava in cerca di una furba zanzara, di una coraggiosa formica o di una soave libellula, così da spostarsi in gruppo verso il fiume nella zona delle fitte canne. È proprio in questo luogo che risiedeva una folta colonia di farfalle, tipiche della regione erano le notissime trilladi: un radioso colore smeraldo sul dorso sempre inarcato quasi iniziassero un corretto dell’800, e un canto da sirene che poteva ipnotizzare anche i più scaltri mercanti di passaggio. Il motivo per cui stazionavano attorno allo stagno non poteva che essere uno: specchiarsi nelle sue acque! Un’altra zona che assicurava coraggiose perlustrazioni poi, si trovava sopra il paese: ci si doveva inerpicare oltre il muschio dietro le ultime case, aldilà di questa zona in inverno gli anziani andavano per funghi, assicurandosi di non essere seguiti da altri raccoglitori, cosa che peraltro non mi risulta sia mai capitata… Così, l’immobile nebbia, funzionava per gli anziani cercatori un po’ come il buio per i nostri amici: protettiva, ma ingannatrice, morbida, ma rischiosa, pronta a custodire, ma anche a perseguitare… Ora torniamo nuovamente a noi: vi chiederete perchè rospo avesse tutto questo tempo. Ebbene: era cresciuto presso lo stagno di un lontano cugino piuttosto distante, cui era stato affidato poco dopo la nascita quando era ancora un piccolo girino. Per lungo tempo – le zampe nel frattempo crescevano a vista d’occhio! – aveva tentato, invano, di ottenere qualche informazione sul suo passato dall’anziano parente. Un mese inghiottiva l’altro, le stagioni correvano intorno al sole e alla luna, e si può con ragione dire che il cugino offrì al nostro amico un’educazione varia e molto attenta nel fare in modo che rospo sviluppasse la più fervida delle curiosità nei più svariati campi: dall’astronomia alla meccanica, dalla filosofia all’agricoltura, questo grazie a una ricca schiera di percettori profumatamente pagati dal ricco cugino. A due di essi, con i quali negli anni la stretta relazione aveva fatto nascere quella che tranquillamente può definirsi una schietta amicizia, tentò ovviamente di carpire qualche segreto sul suo misterioso passato, sui fratelli e sui genitori: nulla: l’ignoto. La cosa buona è che era talmente circondato da amore che tutto sommato le giornate passavano serene e piene di cose da fare…fino a un bel giorno in cui presso lo stagno arrivò uno sparuto stormo di rondini che un po’ lente, nel loro viaggiare, avevano perso il maestoso gruppo degli altri volatili. Possiamo dire che questo incontro rappresentò per il piccolo anfibio ciò che per la volpe bianca è la prima neve, ciò che per un germoglio sbocciato è il primo incontro con un’ape: un nuovo inizio. Fu così che rospo nel conoscerle – visto che avevano deciso di fermarsi qualche giorno per riposarsi e stirare un po’ le ali – venne a sapere che si dirigevano verso Sud, percorrendo centinaia e centinaia di chilometri, così da poter finalmente giungere in un luogo caldo dove svernare, un terreno ampio e arioso – dicevano le rondini – disseminato di altopiani e poco distante dalle lunghe onde dove i Due Mari si baciavano. Gli amici precettori più cari, la civetta e la mantide, gli avevano più volte raccontato delle migrazioni degli uccelli verso il caldo Sud, ma mai rospo avrebbe potuto immaginare che li avrebbe incontrati in carne, ossa e piume! Forse perchè li aveva sempre immaginati tanto diversi da lui, perchè vivono lassù e devono farsi amici i venti, mentre lui scivolava su qualche sasso rischioso e cascava in acqua zampette all’aria. Ma evidentemente la distanza degli elementi, l’acqua e l’ aria, non era poi così inoppugnabile, né rigorosa. Le giornate passavano lente, i tramonti arrivavano sempre prima e questo imponeva rapidi cambiamenti alla rigogliosa natura circostante. Tra le umide e un tempo coloratissime foglie, ora scorrazzavano, con le loro irregolari geometrie, numerosi insetti, maestri scavatori di umidi cunicoli fra la terra e i sassi, in cerca di una timida cena: pareva quasi si potesse udire il brusio dei loro discorsi tra i fili di giovane erba, questo forniva alle rondini una grande varietà di assaggi. Giorno dopo giorno c’è da dire che le rondini tanto male non stavano, anzi, da instancabili viaggiatrici erano diventate delle gran pigrone! Prendevano il sole, facevano aperitivi con miele e lombrichi e viste le loro mete esotiche erano giorno e notte circondate da curiosi animaletti desiderosi di scoprire tutto sulle loro avventure dell’anno passato. I pesci cangianti che saltavano all’incrocio dei Due Mari, la varietà dei rametti utilizzati per costruire i nidi (rari, bislunghi, frecciati e artigliati), le rarissime e pregiate collezioni di biglie di vetro e le conchiglie dalle perle con misteriosi poteri…tutto – dei racconti delle rondini – provocava un tale stupore alle orecchie pelose o meno dei nostri amici, che quasi pareva noiosa la vita trascorsa dagli animaletti del piccolo Borgo, fino a quell’incontro inatteso. Inutile dirvi che il più curioso di tutti era proprio il nostro rospo. E di motivo ne aveva uno particolare: proprio un imprecisato Sud – una mattina di sole la mantide gli aveva rivelato – era il luogo da cui proveniva il suo papà, cugino alla lontana del caro e generoso rospo che lo aveva accudito. Una sottile irrequietezza stava occupando sempre più spazio fra i pensieri del nostro avventuriero, le albe e i tramonti proseguivano nella loro alternanza e zitto zitto pareva quasi progettare una grande fuga che tuttavia, mai avrebbe potuto affrontare in solitaria, servivano loro: le 14 rondini. Sì proprio così. Voi tutti saprete che i rospi, ben prima dell’inverno inoltrato, devono perlustrare con cura il circondario alla ricerca di un luogo il più possibile caldo e asciutto per piombare in letargo. Una cosa tutto sommato non troppo diversa dall’abitudine degli uccelli migratori di spostarsi verso zone calde, assolate, pescose: l’unica differenza era che il rospo sì e no si spostava di qualche – a dir tanto! – centinaia di metri, mentre per le rondini l’unità di misura erano le centinaia di chilometri. Animali simili per certi versi con alcune affinità, io credo. Così il luogo scelto da rospo come nascondiglio per l’inverno divenne in poco tempo il quartier generale per organizzare nei minimi dettagli la partenza insieme alle rondini. Un unico dettaglio – saltuariamente peraltro – intimoriva rospo: e se le rondini non fossero state d’accordo? No…ipotesi irreale, stava progettando una lettiga per il volo talmente comoda (per lui) e talmente elegante e leggera nella sua semplicità (per le rondini) che mai avrebbero potuto negargli quel passaggio a Sud. Evvai! Insomma: erano avventurieri oppure no? Gli avventurieri mai negano ad un loro collega un saluto ad ali aperte, una manciata di lombrichi o un passaggio, parola di rondine. Una sera in cui il cielo era particolarmente radioso, rospo nascosto tra le canne dello stagno oramai mezzo gelato, con le zampette ben piantate nel fango, vide le rondini disporsi a freccia, fare un elegante inchino al sole e sfiorarsi vicendevolmente le ali. Era il momento: la mattina seguente si sarebbe presentato al loro cospetto dicendo: “Viaggerò insieme a voi!”. Fu così che dormendo sì e no uno zinzino di ore, quando attorno allo stagno c’era ancora un buio pesto, tanto che nessun’ombra poteva essere immaginata, rospo recuperò in fretta e furia – per paura di far tardi – la sua stramba ma elegantissima lettiga, e si presentò tremante di coraggio davanti alle magiche quattordici rondini. Non servì neppure una parola, le amiche rondini misero subito in sicurezza tra i becchi delle più audaci il fazzoletto con i due rametti, che poteva tranquillamente sembrare la portantina di un principe assiro, e un volo da manuale prese la scena dell’alba. Rospo dall’alto salutò prima le formiche e le zanzare, poi i suoi amati fiori gialli, le canne e lo stagno, grazie al canto delle rondini arrivò fin sopra il cipresso della civetta, vicino alla foglia della mantide e allo stagno del cugino, che grande felicità questo saluto! Il presentimento di rospo era chiaro, fra l’alba e il giorno: sarebbe stata una famiglia di ragni a fornirgli qualche risposta.